Diceva William Shakespeare nel Mercante di Venezia: “Le forme esteriori possono ingannare, sempre l'ornamento inganna il mondo.” La bellezza esteriore di questa città non ha limiti, e nasconde dentro di sé un’anima misteriosa in cui tutti i nostri ricordi si fondono. La maratona è solo una chiave per aprire le sue porte cavalcando i suoi tanti ponti con l’umiltà dell’ultimo arrivato.
La commozione è sempre tanta, anche se tante volte sono arrivato agli Schiavoni. E’ sera, ormai smontano tutto. Il Presidente Piero Rosa Salva è rimasto da solo e tira un lungo fiato cercando di dimenticarsi dove saranno finiti i primi al ventesimo chilometro. Cala il sipario, scende la sera. Passa immensa la nave da Crociera Musica nella Giudecca, porta 5000 cuori felici in Grecia. La guardo dal Ponte dei Sospiri con tanta invidia e malinconia. Ormai è buio. Il violino e il clarinetto del Florian ripetono all’infinito il languido tema di Amarcord. Piazza San Marco è uno spettro sulle sabbie del mare, così debole, così quieta, così spoglia di tutto, tranne il fondale dorato della Basilica che luccica nel buio.
Un temporale arriva mentre la città si spegne, si consuma e muore lentamente. I fulmini stanno alla larga, aspetto che ne scenda uno attratto dall’oro dell’Arcangelo Gabriele sulla Sommità del Campanile. Piove e tutto cambia. Cambiano i ricordi e le tante sensazioni dei colori di Venezia, i profumi, le piogge, le nevi, le notti, le estati soffocanti e le esplosive giornate primaverili, le botteghe con le raffinate maschere sempre pronte come se il Carnevale inseguisse tutti tutto l’anno in un inno alla trasgressione, in cui culmina la vita quotidiana rovesciandosi nel proprio contrario.
Tutto si fonde in un dolce ricordo: è impossibile capire le sue vie come è impossibile cercare i nostri ricordi nei meandri del cervello. Nella pioggia turisti smarriti guardano cartine e Iphone cercando di interpretare «un indecifrabile alfabeto di segni e di geroglifici», una misteriosa mappa, un arazzo, una tappezzeria persiana; il mare si infiltra nella terra, spandendosi in migliaia di canali tortuosi.
Sarebbe interessante tracciare una maratona o urban trail solo nel centro senza percorrere due volte la stessa viuzza o ponte. Nascerebbe un percorso in equilibrio tra terre e mari, di pieni e di vuoti, di ombre e di luci correndo leggeri tra i palazzi di Venezia tra i selciati infidi ed attraenti.
Venezia coglie i ricordi più belli e li fonde come in un riflesso: anzi il riflesso di un riflesso; il riflesso di una cosa che forse non è mai esistita e che non esisterà mai, ma che magari vedendo passare una gondola ci illudiamo che esista. Solo nelle calli di Venezia, certi sogni, certi amori si avverano anche se sono irrealizzabile ed inesistenti. Svaniranno all’alba nel dolce ricordo di questa “città costruita sull’acqua e dipinta nell’aria”.
Questo amore di cristallo purissimo
Se un giorno dovesse parlare
Avrebbe una voce tremante
Come quella di un bambino al buio
Un bambino fragile e disperato
Che aspetta una mano amica
Che lo porti in salvo
tra queste calli e ponti Veneziani
Se questo amore avesse un’anima
Fluttuerebbe sulle onde inquiete dei canali
Per rifugiarsi sotto un piccolo ponte silenzioso
E ci abbraccerebbe per consolarci
Sarebbe un’anima in cui si riflette il cielo
Tra vecchi muri prigionieri dei canali
Tra chiese, fantasmi e ricordi
Passi solitari e vecchi sospiri
Se questo amore potesse vivere ancora
Salirebbe su una gondola vera
E dormirebbe tranquillo
Senza soffrire
Senza invecchiare
Potrebbe navigare a lungo
E farsi portare sull’acqua
tra il sogno e il desiderio di pace
Sognerebbe di non morire mai
E come in una favola sparirebbe
Su un’isola tra vecchie finestre
Tra onde tremanti e nuvole bianche
Venezia è un miraggio in sorsi di blu
Clicca qui per le foto (di Paolo Gino)
Clicca qui per le foto (di Mario Liccardi)
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